Di sconfitte epocali e strettissime ma percorribili vie d’uscita
“La Superba ha svoltato a destra” — così titolava il principale quotidiano della città. Quello che è accaduto è certamente un fatto epocale: dopo quasi trent’anni di maggioranze di sinistra, Genova si è risvegliata con un sindaco sostenuto da Forza Italia, da Fratelli d’Italia e con la Lega Nord come maggiore azionista.
Lasciando da parte lo sgomento, assolutamente comprensibile, è fuor di dubbio che il risultato di queste elezioni è tale da non consentire affatto un’analisi veloce. La sconfitta è stata infatti causata da fattori di temporalmente prossimi e di lungo periodo, da dinamiche locali e nazionali, errori degli sconfitti e bravura degli sfidanti, insomma, uno scenario estremamente complesso e variegato.
Cerchiamo quindi di mettere in ordine alcuni concetti a mio parere cruciali per comprendere meglio che cosa è accaduto:
Perdere una città che si amministra da tanto tempo è innanzitutto un giudizio sulla qualità delle amministrazioni precedenti. Nel particolare, a Genova, si pagano quattro situazioni ben precise, AMIU, AMT, l’assenza di un piano complessivo per riportare qui posti di lavoro e abitanti e, ultimo ma non per importanza, la mancanza di una visione sulla trasformazione delle ex aree industriali.
Nelle elezioni amministrative conta ormai molto poco l’appartenenza, moltissimo i candidati e le proposte. La campagna elettorale del centrosinistra è stata sottotono. Gianni Crivello era un buon candidato, ma per reggere il confronto con un candidato con il curriculum e la presenza di Marco Bucci era necessario portare all’attenzione dell’elettorato delle proposte forti, capaci di parlare al cuore della città e dei suoi cittadini.
Gli elettori danno fiducia a chi si presenta compatto e convincente, come quasi ovunque è stato il centrodestra. Fatico a capire come possa essere credibile agli occhi dell’elettore medio essere alleati per il governo della città mente si è nemici acerrimi a Roma.
L’elettorato è più liquido che mai, come dice il mio amico https://www.facebook.com/plugins/post.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fwalter.rapetti%2Fposts%2F10214016622516316&width=500“>Walter, e anche se un elettorato liquido è molto più complicato da gestire, questa non è affatto una cattiva notizia, perché l’alternanza è il principale valore aggiunto della democrazia.
Il Partito Democratico è forse nel momento peggiore dalla sua fondazione. Gli iscritti, i militanti e gli elettori più affezionati faticano a riconoscersi in una formazione che mentre passa gran parte del tempo a parlarsi addosso sembra aver perso completamente la simpatia dei cittadini, ma anche la capacità di essere empatico con i sentimenti del suo popolo.
Il centrosinistra, come l’abbiamo conosciuto, è finito. Il caso di Genova farà scuola, perché è la dimostrazione plastica di come, condensatasi nel Partito Democratico l’eredità politica ed ideologica dell’Ulivo, non è più sufficiente mettere insieme alleanze larghe per ottenere il successo elettorale.
Cercando di trarre le conclusioni che discendono da queste premesse, in vista del necessario cambio al vertice del nostro partito locale, è evidente che chi fino ad oggi ha guidato la nostra organizzazione territoriale deve davvero fare un passo avanti, mettendosi a disposizione di una nuova classe dirigente che prenda le redini e riorganizzare la federazione in modo da costruire una struttura agile e pensante, vicina ai problemi dei cittadini, al fine soprattutto di ricreare un senso di comunità che si è andato perdendo nelle divisioni congressuali e a causa degli asti personali. A livello nazionale invece, cercando di imparare la severa lezione che questa tornata amministrativa ci ha dato, è necessario smettere da subito di parlare di nulla, e rimettere al più presto al centro l’iniziativa politica, da una parte dando al governo Gentiloni gli input necessari a concludere bene il suo mandato, dall’altra convocando una conferenza programmatica che finalmente abbia un’impostazione bottom-up, partendo dai circoli, possibilmente con il coinvolgimento degli elettori delle primarie, e dopo un dovuto passaggio di sintesi nazionale, ritorni a dare la parola agli iscritti attraverso lo strumento del referendum interno, inserito in statuto e mai utilizzato.
È una sfida molto grande, ma solo giocandola al meglio delle nostre possibilità avremo la chance di poter governare i prossimi cinque anni. E la vinceremo solo se non la giocheremo per noi, ma per l’Italia.
For the many, not for the few; Avanti, insieme.
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